domenica 24 luglio 2011
the column
Non vedo l'ora di andare via. Ora, dopo, prima non vedo l'ora di rientrare in quel posto. Non avrei mai creduto che un giorno sarei arrivata a ringraziarlo. Da piccola detestavo mio padre per tutte le volte che mi trascinava dentro, mia madre per l'ansia che ci metteva durante la preparazione, la felicità che coinvolgeva tutti e lasciava dietro me. Non avrei mai pensato che un giorno sarebbe stato l'unico posto in cui mi sarei considerata realmente a casa. Un posto dove nessuno rimane, dove niente é per sempre, dove tutto cambia, dove basta un minuto di anticipo o uno di ritardo e sei fuori, dove tutto cambia durante la tua assenza, ma rimane sempre lo stesso e non ti fa sentire in colpa per non esserci stata durante il suo cambiamento. Lì dove tutti se ne vanno, alcuni per poco, altri per non tornare mai più; dove nascono i baci e gli abbracci più veri e passionali. Lì dove sei sola, anche se con qualcuno perché ciò che senti, ciò che ti vibra sotto la pelle puoi sentirlo solo tu.
Niente rimane lì, tutto vola in quel posto e tu lo vedi. Se presti attenzione vedi gli sguardi volare e le valigie partire, i sorrisi sbiadire e i volti sbiancare.
E' strano partire, sai? Ti guardi indietro e sai che non rivedrai tutto questo per un bel po'; sai che quando tornerai non ci sarà nulla uguale a prima, ma, stranamente, non ti importa. Tu sei già avanti, sei già alla meta e le mura spariscono per fare spazio al cielo blu o alle montagne ghiacciate o alle palme da cocco, il pavimento di linoleum si scioglie in sabbia o si indurisce in asfalto. I fantasmi delle persone che corrono rallentano e, pian piano, si trasformano. Almeno questo è quello che succede a me.
A volte quando mi alzo presto immagino milioni di aerei partire con il sole che li insegue e i passeggeri all'interno; chi si tiene ai braccioli e chiude gli occhi per la paura della partenza. I bambini che ridono e scherzano per la felicità di andare in un posto lontano lontanissimo come facevamo io e mio fratello. Vedo quei passeggeri a cui piace starsene in silenzio e guardare fuori dal finestrino, anche se questo è lontano e immaginare, immaginare un posto dove nulla più ti ferirà.
E' strano crescere in un posto che non smette mai di mutare, ma per me è stato così. Forse non è poi così assurdo. Gli aerei, i viaggi, le valigie e le avventure sono la mia famiglia. Sono figlia dei viaggi. Mamma vive di quelli, papà li affronta. Io sono solo il risultato di un grande viaggio, il loro.
Quello è il mio posto. Quando l'ho capito ho dato una spiegazione a molte delle cose fatte e a tanti tra i momenti in cui perdevo il controllo; sono come quel luogo e i suoi abitanti, dopo poco devo cambiare.
Da piccola andavo in salone, a casa di nonna non appena sentivo il rumore di un aereo partire e lei mi raggiungeva.
Prima di partire,da bambina, mi diceva sempre: "Guarda dal finestrino e mi vedrai mentre ti saluto.". Ancora oggi guardo giù come automaticamente, ma non l'ho mai vista. So che è impossibile, ma io non posso smettere di crederci. E' stupido, lo so, ma non cambierà mai.
Non so cosa farò quest'estate, né quest'inverno o quest'anno. Io aspetto, aspetto sempre. Un giorno partirò, emetterò un gran sospiro di sollievo.
Sarà fantastico tornare a casa.
indipendence
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